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Gli stranieri che intendono soggiornare in Italia per più di tre mesi devono inoltrare alla Questura competente per territorio (vige il criterio della residenza) la richiesta di permesso di soggiorno, utilizzando un apposito kit, tramite ufficio postale. Per maggiori informazioni inerenti alla procedura clicca qui.
Gli effetti della condanna penale sulla possibilità di soggiornare in Italia variano a seconda della condizione in cui versa lo straniero.
Nell’ipotesi di primo ingresso, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno,
il diniego è un atto dovuto e vincolato, nel caso in cui lo straniero sia stato condannato, anche a seguito di patteggiamento, per reati particolarmente gravi.
Tali reati sono quelli previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero reati inerenti:
In questo caso non è richiesta, né consentita alcuna valutazione discrezionale (art. 4, comma 3, Testo Unico Immigrazione).
Tuttavia, se l’ingresso è motivato da richiesta di ricongiungimento familiare, il diniego del permesso dev’essere supportato da una valutazione di pericolosità sociale, in quanto risulti che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi aderenti all’accordo Shengen (art. 4, comma 3 Testo Unico Immigrazione).
Nell’ipotesi di rinnovo del permesso di soggiorno: il diniego di rinnovo (o la revoca del permesso già rilasciato) è disposto quando mancano o vengono a mancare i requisiti per l’ingresso…(art. 5 comma 5, Testo Unico Immigrazione).
Quindi, sotto il profilo penalistico, rilevano i medesimi reati sopra indicati.
Tuttavia, nel caso in cui lo straniero abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero si tratti del familiare ricongiunto, la condanna non è automaticamente ostativa.
In tal caso, infatti, la Questura è tenuta a valutare la pericolosità sociale concreta ed attuale del richiedente, effettuando la doverosa ponderazione fra la tipologia di reato commesso ed una serie di altri elementi indicati dal legislatore (natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato, esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche la durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale) (art. 5, comma 5, testo Unico Immigrazione).
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 202 del 18 luglio 2013, ha esteso la predetta tutela a tutte le ipotesi in cui lo straniero, pur non avendo esercitato formalmente il diritto al ricongiungimento familiare o non essendo familiare ricongiunto, si trovi nelle condizioni fattuali per esercitarlo.
La Corte, infatti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, citato, nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che
ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o al familiare ricongiunto, e non anche allo straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato;
Al riguardo, la Corte evidenzia come la tutela della famiglia e dei minori assicurata dalla Costituzione implichi che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno di chi abbia legami familiari in Italia debba fondarsi su una attenta ponderazione della pericolosità concreta ed attuale dello straniero condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere negato automaticamente, in forza del solo rilievo della condanna per determinati reati.
Nell’ambito delle relazioni interpersonali, infatti, ogni decisione che colpisce uno dei soggetti finisce per ripercuotersi anche sugli altri componenti della famiglia ed il distacco dal nucleo familiare, specie in presenza di figli minori, è decisione troppo grave perché sia rimessa in forma generalizzata ed automatica a presunzioni di pericolosità assolute, stabilite con legge, e ad automatismi procedurali, senza lasciare spazio ad un circostanziato esame della situazione particolare dello straniero interessato e dei suoi familiari.
In questo senso, la disposizione di cui all’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998 contrasta con gli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost.
Ad analoghe considerazioni, rileva la Corte, conduce anche l’esame dell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali dell’Individuo, come applicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
La Corte di Strasburgo ha, infatti, sempre affermato che la CEDU non garantisce allo straniero il diritto di entrare o risiedere in un determinato Paese, ragion per cui gli Stati mantengono il potere di espellere gli stranieri condannati per reati puniti con pena detentiva.
Tuttavia, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del richiedente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della pubblica sicurezza e con l’esigenza di prevenire minacce all’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 8, paragrafo 1, della CEDU.
Tale necessità di attenta ponderazione implica, secondo la Corte europea , la valutazione di una serie di elementi, quali, ad esempio
Una simile attenzione alla situazione concreta dello straniero e dei suoi congiunti, garantita dall’art. 8 della CEDU, come applicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, esprime, dunque, un livello di tutela dei rapporti familiari equivalente alla protezione accordata alla famiglia nel nostro ordinamento costituzionale.